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Apro una bottiglia di Pinot Grigio 1977 di Volpe Pasini e…
Mi è capitato, ieri sera, di aprire – senza aspettative, sì la speranza di una sorpresa – una bottiglia di Pinot Grigio dei Colli Orientali del Friuli 1977, dell’azienda agricola Volpe Pasini, di Torreano (Udine).
Capsula e tappo sani, livelli non diminuiti, rovinata in parte l’etichetta. Temperatura di cantina (non ho messo in fresco la bottiglia per paura di alterazioni da shock termico) e ho lasciato ossigenare per una mezzoretta prima di versare nel bicchiere. Ecco le mie impressioni:
colore giallo dorato con ancora visibili riflessi ramati, buona trasparenza, ha perso un po’ in brillantezza perché i 35 anni, capirete!, lo hanno reso leggermente torbido; al naso, ancora bene espressi i sentori di fiori (acacia), ma anche di frutta (io ho avvertito pera e mandorla) con note speziate credo però dipendenti dall’età; in bocca, innanzitutto aveva ancora certa tonicità, immutati struttura e carattere, ha perso solo un po’ di sapidità e quindi un po’ ammorbidito.
E’ indubbio, una sorpresa, e più che bella. Perché il vino, pur modificatosi un po’, ha tenuto l’età.
Sembrava quasi volesse parlare lui stesso, con gentilezza e fermezza insieme (che poi sono caratteristiche del vitigno): “bevimi, ho ancora da dire”. Vero.
Merito dell’annata (ottimo il 1977, in Friuli) e delle cure del produttore, seppur non quelli erano gli anni in cui i vignaioli, in generale, lavoravano con il preciso proposito dell’invecchiamento (al di là della capacità di resistenza in particolari annate) per i vini bianchi.
Tuttavia, buona lavorazione in vigna, attenta vinificazione e benevolenza – ma ciò ogni anno è un’incognita – della natura, possono generare risultati inattesi. (Gian Arturo Rota)
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