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Il vignaiolo è prima di tutto il custode di un territorio

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Leggo su Ottopagine, rivista on line beneventana, un’intervista di Donato De Marco a Mena Iannella ed Ennio Romano Cecaro, proprietari della neo azienda agricola Canlibero di Torrecuso (Benevento), sul tema dei vini naturali.

Il pezzo di De Marco inizia con il celebre aforisma di Luigi Veronelli:
Il peggior vino contadino è migliore del miglior vino d’industria.
Quella frase, un paradosso provocatorio e non del tutto esatto, scatenò accese polemiche.
Gino voleva far comprendere che il vino contadino, anche quando malfatto – rispetto al vino d’industria, anche quando perfetto – ha sempre un’”anima”, è individuale.

De Marco, nel ripescare quelle parole, vuole certo omaggiare Veronelli.
Tengo però a precisare che lo schieramento di Gino per i vini (e tutti i prodotti agricoli) contadini non comporta per lui essere a favore di una pratica specifica: o convenzionale, o naturale, o biologica, o biodinamica, e compagnia bella.
Il ritorno alla terra da lui invocato è concetto universale, legato alla necessità per l’uomo di riavere la terra quale alleata, in un rapporto basato sul buon senso e sulla responsabilità.

L’intervista in sé m’è piaciuta molto, perché secondo me fa chiarezza sull’argomento. Ne riporto un ampio estratto.


D.
Cosa significa vino naturale?
R.… Il vignaiolo naturale (ma per me non solo quello naturale, n.d.r.) è prima di tutto il custode di un territorio: lo preserva e lo valorizza attraverso una condotta rispettosa nel vigneto che porta alla raccolta di uve in buona salute da cui verrà estratto un mosto sano in grado di attivare i processi fermentativi senza lieviti aggiunti.
La naturalità di un produttore si misura anche dalla sua capacità di realizzare una vinificazione non invasiva.
Nonostante la legge consenta di aggiungere numerose sostanze all’uva, bisognerebbe fare una distinzione sull’uso e l’abuso. Alcune di esse servono a rendere il vino più stabile, altre a modificare struttura, consistenza e sapore
.

D. Ci sono vini naturali e no?
R. … in generale il vino non ha nulla a che vedere con i trattamenti sistemici in vigna e l’enotecnologia in cantina, noi la pensiamo così. Il vino è prima di tutto un prodotto culturale: non nasce spontaneamente dalla vite ma richiede sempre e comunque l’intervento dell’uomo. Si può dire che è il risultato di un triangolo virtuoso in cui il vitigno, il territorio e la mano dell’uomo trovano la perfetta sintesi.
Si utilizza il termine “convenzionale” per indicare i vini non naturali, rimandando ad una convenzione prestabilita nella produzione del vino che concentra l’attenzione sulla delega che il produttore dà al protocollo senza ascoltare la natura.

vigneti

 

D. Che lavorazioni fa un viticoltore naturale rispetto agli altri?
R. Il vignaiolo è chiamato a custodire la vitalità del terreno a tutti i livelli. Ovviamente il punto fermo è la non immissione di prodotti chimici e di sintesi in vigna, poi tutte le pratiche, siano esse etichettate come biologiche, biodinamiche o semplicemente dettate dal buon senso e dall’esperienza, dovranno puntare a ripristinare la forza del terreno.

D. Che prodotti usano in vigna i viticoltori naturali?
R. In linea di massima, il vignaiolo che sceglie la pratica biologica, basata su interventi di protezione della pianta e della terra, utilizza principalmente prodotti di copertura a base di zolfo e rame.
Un’alternativa sempre più diffusa tra i vignaioli naturali, è la biodinamica. Essa parte da un assunto filosofico: l’uomo deve contribuire a ricostruire la forza generativa della terra, recuperando il senso delle relazioni tra il terreno, i microrganismi che lo abitano, la pianta, i frutti, gli animali, il cielo, gli astri. I metodi utilizzati sono rivolti all’arricchimento della vitalità di terreno e pianta, per difendersi meglio dagli attacchi di parassiti e malattie e produrre un frutto più sano.

D. Che differenza c’è nelle lavorazioni in cantina?
R. Il principio fondamentale per produrre un buon vino è la sanità delle uve, in tale condizione al produttore basterà assistere e custodire il processo di vinificazione senza alcun intervento correttivo troppo invasivo.
Per quanto concerne la vinificazione convenzionale, una pratica molto diffusa e paradossale dell’enologia contemporanea consiste nell’impoverire il mosto delle sue peculiarità, per poi ricostruirle artificialmente secondo il gusto imposto dal mercato.

Un ultimo pensiero dei due vignaioli:
Probabilmente un modo per accrescere la consapevolezza di chi compra il vino potrebbe essere quello di riportare la lista degli ingredienti in etichetta così come accade per tutti gli alimenti confezionati.

A mio avviso, non probabilmente, bensì un obbligo.

Gian Arturo Rota

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3 Comments

  1. Donato De Marcomag 3, 2014 at 07:47Reply

    Grazie per il bel commento e grazie per aver diffuso il mio articolo.
    Hai capito lo spirito dell’intervista.
    Ciao

    • Gian Arturo Rotamag 4, 2014 at 16:49ReplyAuthor

      Ciao Donato. Tu hai fatto una “giusta” intervista e favorito una migliore comprensione della questione.
      Grazie a te, anche per la citazione veronelliana.
      A presto

  2. Rocco Catalanomag 5, 2014 at 10:18Reply

    Bel dialogo, perfetta fotografia.

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