Luigi Veronelli
Fedeli alla terra anche a tavola e in cantina
Ho trovato, nell’archivio, un articolo di Veronelli del 1973, scritto per Panorama – il settimanale con cui allora collaborava – ma non pubblicato; un inedito, insomma.
Si tratta di una riflessione – forse per uno speciale, poi cancellato – sullo status quo, ma sul piano “social-ecologico”, dell’enogastronomia italiana dell’epoca.
Emergono, in particolare, i primi sintomi di quella consapevolezza che Veronelli è riuscito, con la sua lunga e feroce militanza, a instillare in ciascuno – produttori in primis, enotecnici, venditori, comunicatori, semplici appassionati – che come lui credeva nell’unica via possibile per l’affermazione della qualità: il prodotto contadino. (Gian Arturo Rota)
Sino a ier l’altro si ostentava massima sicurezza, nessun dubbio: utopia la difesa delle abitudini alimentari del passato; l’industria era il bene, il giusto, l’auspicabile; si andava verso il cibo chimico, addirittura la santa pillola, il prodotto unico, completo e razionale, quindi “industriale”, che avrebbe risolto magicamente ogni problema; e si brindava all’avvento della società del benessere.
All’improvviso si ci è accorti: non del benessere, si correva alla società del malessere, con pericoli via via più scoperti di autodistruzione. La voce dei pochi, ed io tra quelli, che predicavano la necessità di rimanere fedeli alla terra anche a tavola e in cantina – la necessità quindi di quello che, contro lo strapotere industriale e operistico, dico il “ritorno contadino – non cadeva nel deserto, aveva una sua ragione d’essere, non rimaneva inascoltata.
L’esigenza proclamata dei buoni cibi e dei buoni vini non era e non è una moda, non uno dei vari aspetti della conservazione o il retorico sconforto per il tempo passato degli accademici di cucina.
Tutt’altro: è aspetto, certo non ultimo, della difesa giovane di quei valori umani che industrie avide e incontrollate vogliono distruggere e annullare. Giorno per giorno si precisa la volontà comune di una natura pulita: mari, boschi, campi, monti puliti, capaci di dare cibi puliti.
Ora che si guarda alle nostre spalle con sgomento si impongono scelte che, radicali, anche sgomentano (la violenza esplosa in ogni luogo del mondo ha radici nella tragica consapevolezza della necessità di cambiare).
Abbiamo bisogno di meditazione e di equilibrio: il “ritorno contadino” non è rifiuto della tecnica; è l’invito – anche e soprattutto nel nostro campo – a sottomettere sempre e comunque la tecnica al rispetto delle esigenze umane.
Ed ecco finalmente che alla rabbia per anonimi interventi enotecnici si sovrappone (sino a cancellarla), via via più frequente, la gioia per puntuali scese in campo aperto di enotecnici, nome e cognome, coscienti.
Luigi Veronelli