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Intervista impossibile a Veronelli. Parte seconda

febbraio 20, 2014 by Gian Arturo Rota in Attualità, Miscellanea with 0 Comments

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Nella serata Il vino è il canto della terra, dello scorso due febbraio al Teatro Sociale di Bergamo, un momento di autentico spettacolo è stata L‘intervista impossibile a Veronelli, testo di Nichi Stefi (autore e regista, dal 1979 responsabile di tutte le trasmissioni televisive di Veronelli).
Un botta e risposta con l’attore Gaetano Amato, posizionati, l’uno sul lato destro l’altro sul lato sinistro, nel secondo anello dei palchetti (detti barcaccia) prospicienti il palcoscenico; le loro voci, calde e vivide, a fluttuare tra la platea, e il bicchiere di vino, accanto al leggio, quale “garante” della performance. Omar Pedrini, di tanto in tanto, ad accennare, ma in modo lieve, qualche accordo di chitarra.
Nichi a interpretare se stesso (domande fatte con l’ironico distacco, che poi è vera partecipazione, di chi conosce bene la “materia”), Gaetano nei panni – bravo, mica facile, soprattutto a non darne una lettura mitizzante – di Veronelli.

Ecco la seconda parte:


N.
: Adesso è proprio l’agricoltura l’unico settore che risente meno della crisi, ma la si vuole biologica.
Non si punta alla qualità, ma alla salute…
G.: Ma non ti rendi conto che salute e qualità sono sinonimi.
L’agricoltura è di per se stessa biologica, se no non è agricoltura.

N.: Ma come definire il biologico? Quali trattamenti fare?
G.: Dai Nichi, la risposta è semplice: quelli che servono per migliorare la qualità.
Sai bene che natura e cultura si contrappongono, è l’abilità dell’uomo, la sua cultura appunto, che ha il compito di addolcire la natura.
Da sempre il contadino ha lottato, ma a quale fine? Non certo quello di sfruttarla fino alla spoliazione!
Invece è trionfante, nel mondo contadino, la volontà di rispettarla in modo da farne uscire la migliore qualità possibile. Ricordati, qualità e terra: sinonimi. E l’agricoltura è biologica quando rispetta la terra.


N.
: Ma non temi che tutto venga gestito come una moda? Che dietro al desiderio del biologico ci sia la solita speculazione industriale?
G.: Certo! Ci prendono per i fondelli.
Mandato in soffitta lo slogan “piccolo è bello”, la maggior spinta viene adesso dalle medie e grandi industrie alimentari che scoprono il biologico, sia per ragioni d’immagine che per ritagliarsi nuovi spazi di mercato.


gaetanobrinda


N.
: Prima la biodiversità la condannavano. Il biologico era nato da minimi agricoltori proprio contro di loro.
G.: Bio in greco è vita. Biologia è l’insieme delle scienze della vita. Ecco un consiglio, visto che me lo chiedi.
Datti da fare per riappropriarci dell’aggettivo biologico e contestiamo ciò che biologico non può essere “per definizione”. Dico contestiamo, prima persona plurale, perché non riesco a immaginare una lotta senza di me.


N.
: Ecco il Gino che conosco. Pronto alla lotta, ma con il sapere alle spalle…
G.: La cultura è tutto.

N.
: Ma come vuoi che si formino le nuove generazioni. La vedi lì, la televisione? Le nuove trasmissioni gastronomiche? Fanno schifo!
G.: Millanta e millanta che tutta notte canta. Ed è show. Non è così che si fa televisione.
Voglio confessarti un fatto. Quando mi proposero di andare in tivvù, ant’anni fa (1970, ahimè), ero incerto se rifiutare o no. Da una parte vedevo il vantaggio di una comunicazione globale, dall’altra temevo di non essere in grado.
Io ho bisogno di una lingua precisa, meditata, di usare le parole giuste.
Stavo per rifiutare ma fu Luciano Rispoli, che era direttore a Torino, a convincermi. Persona coltissima ed educatissima. Diceva che la precisione non è sinonimo di incomprensibilità.
Allora si poteva fare una televisione educata e precisa, colta.


N.
: Non c’era la concorrenza e l’audience non era l’imperativo assoluto.
G.: Vero, questo è il problema.
Fu Ave Ninchi ad aiutarmi. Lei era genuina, popolare, rappresentava tutto quello in cui credevo.
Allora ho potuto essere il suo antagonista. Lei conquistò gli italiani, io conquistai lei e la TV, e anche l’audience; e imparai che non occorreva essere protagonisti, così resi protagonisti i miei vignaioli e i miei cuochi.
L’importante era comunicare ciò che era giusto. Cioè, che ognuno è sempre diverso dall’altro, e che ognuno è nato per festeggiare la vita.

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