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Paolo Rapuzzi, vignaiolo di “cosciente amore”

settembre 1, 2014 by Gian Arturo Rota in Attualità, Miscellanea with 2 Comments

PaoloeDinaRapuzzi
Paolo e Dina Rapuzzi (fotografia di Alessandro Franceschini per Lavinium)

 

La morte s’è portato via un vignaiolo che ha segnato la storia dell’enologia friulana (e no): Paolo Rapuzzi, azienda agricola Ronchi di Cialla, nel comune di Prepotto (Udine), Colli Orientali del Friuli.
Quel Cialla che da “cru” reale – per terra e sudore, ma a lungo fittizio per la legge – è divenuto, grazie alla tenacia sua e di moglie Dina, reale anche per la stessa legge con il riconoscimento, 1988, della specifica “delimitazione geografica”.
Questa“, scriveva Paolo a Gino Veronelli nel dicembre 1990, “è stata per noi una grande conquista, di cui andiamo fieri, e l’abbiamo sempre considerata tua e nostra“. Nostra, successivamente, vorrà dire anche dei figli Pierpaolo e Roberto.

Riprendo dall’archivio, un articolo di Gino, 8 anni prima di quella conquista e proprio sul tema cru, uno dei più spinosi nella travagliata storia delle denominazioni di origine dei vini.
Saluto così per l’ultima volta, un affettuoso saluto, il vignaiolo Paolo.
Gian Arturo Rota

 

Il Refosco dal peduncolo rosso

Conosco Dina e Paolo Rapuzzi, «coniugi vignaioli» dal dicembre 1976 quando vinsero, con un loro nuovo impianto a base di vitigni autoctoni, il primissimo Rìsit d’Aur, premio voluto da Giannola e Benito Nonino «per riaffermare, in ogni campo e luogo, i valori della civiltà contadina».
Da allora: capito in Friuli, li vado a trovare.
Mi affascina il loro amore di terra, la giovane sicurezza dei figli, e, maledetto me, la bontà dei vini.
L’ultima volta mi sono ubriacato (faccio per dire) – non del Verduzzo, non dello Schioppettino, non del Picolit, più esaltati – del Refosco dal penducolo rosso.

Non avrei mai finito di berne: colore rosso granato intenso (rapidi, hai ancora riflessi violacei); bouquet caldo intenso e dichiarato (senti la liquirizia di legno, la mora e le spezie); sapore asciutto sul consistente fondo verde, pulito e saldo; nerbo e stoffa di superba e tuttavia composta eleganza.
Ancora una volta si confermava negli uomini, nel clima, nella terra, nel vitigno la superba continuità del cru Ronchi di Cialla.

Alt. S’alza il sipario. Dialoghetto morale tra Paolo Desana, «presidente-senatore» del Comitato nazionale per la tutela delle denominazioni d’origine, d’incredibile onestà, e un giornalista solo onesto.
Desana: «
Ai sensi dell’articolo Y del paragrafo X della denominazione Z la parola cru, riferita ai vini italiani, é fuori legge».
Veronelli: «Mi sento, o “senator” maccarrunaro. Ferdinando I – avendo naso, incredibile nel senso di enorme  era soprannominato “Nasone” – emise un bando a interdir’appunto l’uso della parola naso. I napoletani, maccarrunnari, risposero con questa specie di pasquinata: « Mnò s’é cacciato lu banno / Ca nun se pò dì nasillo de mamma / Ma nun ‘mporta cavaco ‘mprigione / Voglio alluccà: viva Nasone».
Luigi Veronelli

Panorama, n.766, 22 dicembre 1980

 

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2 Comments

  1. whois directoryset 2, 2014 at 10:06Reply

    Buongiorno Gian Arturo,
    ti chiedo la cortesia di segnalare che la foto utilizzata è stata scattata da Alessandro Franceschini per Lavinium.
    Questo è il link al suo articolo:
    http://www.lavinium.com/laviniumblog/ronchi-di-cialla-nella-storia-dello-schioppettino.html
    saluti
    Roberto Giuliani

    • website load test toolset 2, 2014 at 14:11ReplyAuthor

      Buongiorno Roberto.

      Ti ringrazio molto della segnalazione e mi scuso di non averci pensato.
      Saluti cari a te
      Arturo

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