Attualità
Resistenza naturale. Il nuovo film di Jonathan Nossiter
E’ nelle sale da qualche giorno, Resistenza naturale, il secondo film sul vino di Jonathan Nossiter.
Ed è cominciato il gioco del “tu l’hai visto?”. Io no e non andrò a vederlo.
La precedente opera di Nossiter, Mondovino, mi aveva lasciato perplesso per la sua visione del mondo (agricolo e non solo) manicheista (quindi moralista in eccesso), a tratti anche sprezzante verso ciò che a lui non piace e che condiziona, il “sistema”. Anche se gli riconosco chiarezza di pensiero e di posizione, che in questo secondo film vengono fuori, in tutta la loro evidenza, già dal titolo.
Ma proprio il titolo a me allontana, soprattutto la parola resistenza che leggo, oltre che a rischio di retorica e di slogan – con rispetto e stima massimi per i nostri produttori coinvolti – come offesa e non incitamento al mondo contadino, che, a mio parere, non ha da opporsi a nulla e a nessuno perchè c’è, esiste, ha dignità conclamata, e non più da ribadire, da millenni di storia e di storie, pur travagliate.
Affido perciò il commento a chi il film ha visto, come l’amica Raffaella Melotti (a cui l’ho chiesto e che ringrazio per aver accettato l’invito), e a chiunque altro volesse dire la sua.
Gian Arturo Rota
Resistenza Naturale.
Vizi e virtù
Jonathan Nossiter propone la testimonianza di quattro viticoltori italiani che denunciano la standardizzazione, l’omologazione che sta subendo il mondo del vino oggi.
Massificazione, utilizzo esasperato della chimica, il vino diventa così una bevanda al pari della Coca Cola, innaturale e semplice prodotto “da scaffale”.
Uniformazione che avviene anche nel settore cinematografico, testimoniata dall’inserimento nel documentario, di parti selezionate da film “vecchi” per far comprendere come ci dimentichi del nostro passato e delle nostre origini; il tutto spiegato direttamente dal direttore della Cineteca di Bologna, Gianluca Farinelli.
Di questo film-documentario-testimonianza salvo alcuni tratti stimolanti, su cui riflettere, e non ne approvo altri perché estremi.
Salvo il valore della storia in generale e delle storie che vengono narrate direttamente dai vignaioli.
La storia ci è utile e crea conoscenza. Possiamo imparare grazie alle storie di uomini e donne veri, i vignaioli del film, che testimoniano impegno e rispetto profondi per la loro terra e i valori che rappresenta.
La terra amata e difesa da Luigi Veronelli quale motore dell’agire e dalla cui amorevole fatica può nascere qualcosa di unico, emozionante: il vino.
Se non amiamo la terra, i suoi frutti, la capacità di lavorarla e di tramandarla ai nostri figli, perdiamo coscienza vera di ciò che siamo, delle radici, della cultura contadina.
E’ motivo di riflessione anche la “ribellione” verso le “multinazionali” che lego alla visione veronelliana del mondo, come forma di denuncia del loro operato. Ribellione sostenuta dal criterio di anarchia inteso quale principio di responsabilità del singolo che può scegliere ed essere così libero da vincoli, creando unicità di pensiero e di azione.
Non approvo la visione estrema nel denigrare il progresso economico e tecnologico.
La visione della grande industria o del fenomeno industriale come qualcosa di nocivo e pericoloso nella sua assolutezza. Esiste il voler “tornare indietro” senza una reale presa di coscienza di ciò che siamo ora.
L’escludere e non parlare dell’esistenza di altri attori del mondo del vino, di altre “forme imprenditoriali ibride”, in cui ci sono persone che lavorano alacremente e il cui prodotto finale, anche se non naturale, è sano ed emozionante.
Il regista sembra individuare così un unico modello possibile che possa salvarci dall’aridità del mondo industriale: il vignaiolo naturale, un eroe controcorrente.
Visione appesantita dal volere sostenere questa “diversità” di approccio quale resistenza, opposizione, e rinunciare a farne invece “leva” stimolante, reale motivo di confronto.
In ciò non intravvedo apertura e dialogo bensì chiusura e, in parte, arrendevolezza.
Raffaella Melotti
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