Casa Veronelli

Luigi Veronelli

Il gusto di donarsi, soprattutto ai giovani

Stava male da tempo, Veronelli, anzi, il Maestro Veronelli, come non sopportava d’essere chiamato.
Ma nemmeno per un istante l’ottimismo e la voglia di pensare al futuro gli sono venuti meno…
Adesso il coro è unanime e persino i nemici si associano al cordoglio e al rimpianto, riconoscendogli il merito di avere cambiato un mondo, elevandolo da fenomeno folcloristico ad un ruolo di primo piano nella nostra economia e nella nostra società.
Veronelli ha inventato il mestiere del giornalista enogastronomo, e più delle parole sarà la storia a riconoscergli questi e tanti altri meriti.

Da tempo, peraltro, i suoi occhi non vedevano più. Eppure era come se l’energia fosse aumentata, a dispetto dell’età e del male, tanto che era continuamente su e giù per l’Italia…
Ma le qualità che più di ogni altra gli anni avevano amplificato, in Veronelli erano due.
La prima: il senso di libertà, che Gino identificava in una sorta di anarchia che l’aveva avvicinato anche ai centri sociali, e che comunque gli consentiva, sempre, di esprimere liberamente il proprio pensiero. Scrisse pochi mesi fa:

«Quando mi chiedono una definizione, sintetica, dell’anarchia, rispondo: “credere che Dio è l’altro”. […] L’altro per me – e in questo assunto avrei il consenso solo di alcuni anarchici – è la donna, l’uomo, gli animali (i cani hanno accompagnato con esistenze più brevi della mia, tutto il mio percorso umano), la terra, l’acqua, i vegetali (i frutti in primis), via via sino ai granelli di sabbia».

La seconda: qualità, direttamente legata alla precedente: il senso di umanità vero, profondo, che lo portava a essere rivolto verso gli altri, e soprattutto i giovani, con amore e disinteresse.
Certo, s’indignava Veronelli di fronte alle cose che giudicava sbagliate, soprattutto quand’era il Potere a manipolare, a indirizzare, a mistificare.
Ma sapeva e ha saputo fino all’ultimo mettere in pratica il valore del dono, prestando la sua esperienza e il suo entusiasmo a chi ne aveva bisogno.

Gino c’era sempre. E continuerà ad esserci.

Giovanni Chiades, giornalista

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  • “Vivere frizzante”
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