Luigi Veronelli
Semi e sementi. La complicata questione dei brevetti
«Le masse delle materie inerti e inanimate, come la sabbia o il granito, sono spoglie d’ogni vitalità o sono semi, o sono semi in potenza, o molecole che attendono il giorno della vegetazione o della vita? Ci è impossibile di rispondere, l’apparenza è muta”. Giuseppe Ferrari, politologo (Milano 1811 – Roma 1876).
I semi e le sementi, vitali da che l’uomo s’e fatto contadino, producono e hanno avuto dai loro gesti – dei contadini, dico – continue migliorie sia sul piano della maggior produttività, sia della migliore qualità.
Se le multinazionali avessero avuto come oggetto la ricerca sulla sabbia vista come molecole che attendono il giorno della vegetazione o della vita, e alla sabbia vita e vegetazione avessero dato, non v’è dubbio che avrebbero diritto a concordare brevetti e compensi.
Chiedono invece brevetti e compensi per le ricerche su semi e sementi che hanno anima dalla fatica e dalla ricerca di generazioni e generazioni contadine.
Anche avessero ottenuto, attraverso le loro ricerche, migliorie – è legittimo averne dubbi – dovrebbero prima compensare, pagare in misura molte volte maggiore il materiale su cui hanno operato.
Materiale la cui proprietà è dei contadini del passato e di oggi.
Avessi potuto essere in Genova; più ancora, avessi potuto far sentire la mia voce, alto avrei gridato: l’esazione di brevetti e di denaro per ipotizzati miglioramenti ottenuti su tutto ciò che è stato nei secoli seme e semente è vera e propria sovversione.
Le multinazionali paghino ai detentori millenari del loro uso i diritti maturati – appunto nei millenni – per la loro produzione, reimpianto e mantenimento.
I diritti contadini, calcolati sulle loro millenarie fatiche, superano qualsiasi brevetto di miglioria.
Luigi Veronelli
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